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"Si tratta di poesia "civile"... Di una poesia non tripudiante, in cui la prospettiva politica deve non dico ammettere, ma semplicemente constatare il fallimento e la sconfitta degli ideali che hanno animato l'operare della sinistra. In questo, il bilancio di Quattrucci è forse fin troppo drastico nella diagnosi di una perdita totale ('abbiamo perso tutto', è l'ultima frase del libro). È vero che per chi 'voleva tutto' non ci sono vie di mezzo, ma la storia dovrebbe per l'appunto insegnare che non c'è mai esito definitivo. (...) Quattrucci appare ben consapevole del rischio della nostalgia e del rammarico, ne discute apertamente e animatamente, rivendicando il fatto che il lavoro della memoria deve necessariamente contenere un risvolto doloroso ('dolore non è colpa tanto meno del ritorno: e rimpianto non è fuga o rifugio dopo il crollo: sentimento non è 'sentimentale'...'). Ma non sarà mai neppure un semplice 'come eravamo' sui bei tempi della giovinezza." (dalla prefazione di Francesco Muzzioli)